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25 aprile 2005

"L'organo di Barberia" di Adriano Petta

Qualche giorno fa, in occasione della giornata mondiale del libro e della rosa (23 aprile) - giornata del civismo, della convivenza e del rispetto verso tutte le persone, popoli e culture -, ho ricevuto dal caro amico Adriano un suo racconto, L'organo di Barberia, che con gioia ed onore posto su questo blog!
«L’organo di Barberia» è tratto dalla raccolta di racconti “Casablanca e oltre".


L'organo di Barberia

Ultima domenica di settembre, estate ormai finita, mare già velato d’autunno. Domani si torna nel frastuono della capitale. Un gruppo di pigri abitudinari — compresi mia moglie, mia figlia ed io — tarda ad abbandonare il Nettuno. Continuiamo a prendere caffè bivaccando attorno al grosso tavolo, mentre fuori il cielo da cinereo sta diventando scuro. Ma, sotto questa cupola di legno e vetro che domina il mare increspato, si sta proprio bene. Fuori, come al solito, sono rimaste solamente le tre Giulie: una dolce silenziosa nonnina dai capelli bianchi con gli occhiali, la nipotina d’un anno e mezzo — bionda, capelli corti, faccino tondo e ciuccio marrone perennemente in bocca —, e mia figlia, un’agile rompiscatole di nove anni, innamorata della Giulia col ciuccio. Se ne stanno sulla spiaggia deserta, quasi sulla battigia, costruendo un castello di sabbia. A nulla sono valse le nostre esortazioni: mai avrebbero lasciato a metà il lavoro cominciato sotto il sole del mattino.

Un tiepido umidore sta coprendo la scacchiera di vetro, mentre l’orizzonte marino sta diluendo nel cielo di piombo. Dal castello di sabbia si stacca una delle tre Giulie: mia figlia. Corre verso di noi: gli esili piedi affondano, ma subito risorgono dalla sabbia. Intuisco che è entrata: una folata di freddo mi attraversa la schiena e spezza la molle aria impregnata di fumo e di penetranti odori di cucina. Mani nervose mi straziano il braccio: sono costretto a girarmi, ad affrontare gli occhi spiritati, la sua voce stridente: “Papà, vieni, abbiamo quasi finito, tu puoi aiutarmi…” e continua a stritolarmi il braccio. Con una mano le afferro le dita e con l’altra sfioro la volgare collana verde-fosforescente che le ciondola dal collo: “È tardi, Giulia, finirai col raffreddarti. Tu da qui non ti muovi. Siediti: fra poco ce ne andiamo.” Allibisce, ma la sua innata docilità la vince. Libero le sue dita e lei tira verso di sé una sedia: solo allora lascio andare anche la collana. Accenno a girami verso la tavolata con un sospiro di sollievo, ma l’impertinente ragazzina sguscia via e, attraverso la vetrata sempre più appannata, la vedo saltare come una gazzella e raggiungere di nuovo il deforme castello di sabbia e le altre due Giulie.

Il taciturno psicanalista dagli occhi di ghiaccio, solleva lo sguardo dal libro da cui non si è separato dal mese di giugno: Sri Aurobindo—L’avventura della coscienza. Mia moglie subito ne approfitta: “Dài, Stefano, l’estate è finita… e sono tre mesi che fai all’amore con quel libro: racconti qualcosa pure a noi?”

L’impassibile sguardo del mio amico accenna a mutare in benevolo, ma si blocca dinanzi alla piccola mano trepidante che ha ripreso a straziarmi il braccio. Mi giro, lo sguardo di mia figlia è supplichevole, la voce accorata: “Papà, per favore… ricordi Carcassonne? Ricordi l’organo di Barberia… e quella musica che volli ascoltare tante volte? quand on s’promène au bord de l’eauquando si passeggia sull’orlo dell’acqua? Papà… puoi venire ad aiutarmi?” Tutto quello che lascia scoperto il nero costume da bagno è pelle d’oca: la vedo rabbrividire, mentre una fredda folata di vento inquina la tiepida calma della sala. Abbranco l’esile polso di Giulia e mi giro verso Elena: “Santo Iddio, chiama tua madre… si buscheranno un malanno sia lei che la tua bambina! Ti rendi conto che stanno ancora in costume da bagno?”

Gli occhi lievemente voluttuosi della mia amica diventano smarriti. Getta un’occhiata a Stefano che ci sta fissando severo. Mi sorride: “E lasciale stare, Renzo: non essere esagerato, fallo per me…” e protende un braccio, sfiorandomi una spalla. Allento appena la stretta… e mia figlia si libera sgusciando via, sgambettando come un’anima dannata verso lo stramaledetto castello di sabbia.

Stefano prende a parlare con voce cadenzata e sommessa: “Sri Aurobindo dice che al mondo c’è una sola grande vibrazione. Ed è in ogni cosa. Ed ogni individuo rappresenta un certo insieme di vibrazioni.”

Devo sforzarmi per mascherare la noia: non è la prima volta che sento parlare di vibrazioni! Getto uno sguardo al foglietto che ho aperto. La voce di Stefano diventa quadrata, poi sempre più fioca: “… ci sono dei tipi di persone… tipi… diverse per età, cultura, morale… ma identiche nel subconscio… come se una fosse vista attraverso l’altra: proprio come una strana sovrapposizione…”

Al diavolo le vibrazioni e le sovrapposizioni! Dunque, vediamo… sei caselle orizzontali per sei verticali: trentasei scomparti, trentasei cifre, trentasei tempi: è in questi numeri che si nasconde il segreto dell’opera maledetta… il mistero della Quinta sinfonia di Mahler! Se riuscissi a decifrarli… il mio saggio sul grande compositore diverrebbe un capolavoro! Attanaglio il foglietto ed una strana eccitazione comincia ad effondersi per il mio sangue… mentre Stefano ha preso a recitare una poesia del suo ultimo idolo Sri Aurobindo: “… le ho viste attraversare l’alba di un’era, le bambine dagli occhi di sole di un’alba mirabile…” Parole che rimbalzano sulla mia mente e volano via. Trentasei caselle, trentasei messaggi ambigui e contraddittori… eppure la mia mente flessibile ce la può fare a stanare il segreto! Ma è destino che quella rompiscatole di mia figlia oggi debba mandarmi in bestia: adesso se ne sta col naso schiacciato sul vetro di fronte a me, gesticolando per attrarre la mia attenzione; le accenno la porta, ma il timore le incupisce il faccino: scuote il capo, con un dito cerca di scrivere sul vetro, ma questo è appannato dentro la cupola e non fuori.

Dunque… il quarto movimento non può essere. Il foglietto mi brucia tra le mani… e Stefano ha attaccato con le potenti distruttrici delle barriere del mondo, gli architetti dell’immortalità! Dunque, l’Adagietto… no! È lì, invece, fra il primo e il secondo movimento, fra la Marcia Funebre e il Tempestosamente Mosso: è lì che si nasconde il segreto della vita! Forse sto esagerando davvero… E questo folle continua con il suo sdolcinato sermone… corpi colmati di bellezza dalla luce dello Spirito, che portano la parola magica, il fuoco mistico… Ancora con questa storia… che portano la coppa dionisiaca della gioia… Nove sinfonie: perché tutti i grandi compositori ne hanno scritto nove? E come mai la loro opera magistrale è stata sempre la Quinta? Altro saggio! Oggi, in mezzo a tutta questa noia, è fuoco puro questo che mi frulla per il capo! Nove sinfonie… Oh Mahler, il tuo tempo sta per venire! Le prime quattro servono a costruire la scalinata per raggiungere la vetta, la Quinta, il tempio azteca dove si sprigiona vento, sangue e tempesta… e le altre quattro solo per scendere agli inferi… Oh Dio, se riuscirò a scoprire il segreto che si cela in questi due movimenti, non solo potrò scrivere un saggio rivoluzionario, ma potrei addirittura comporre una sinfonia divina… un’opera che segnerà la fine del secondo millennio e l’alba d’una nuova era! E l’arcano sta lì, nel tempo impiegato i vari interpreti! Prendiamo il Tempestosamente Mosso… Ma Giulia non mi dà tregua. Sono vicino alla soluzione… ma quell’impiastro mi sta rovinando tutto: ora s’è messa ad alitare sul vetro, appannandolo: è incredibile come riesca a scrivere al contrario… quand on s’promène au bord de l’eau… valzer? tre quarti? Le faccio cenno di sì col capo: sì, è un valzer, tempo-tre-quarti-purché-te-ne-vai-al-diavolo! Ma non è finita ancora: disegna un punto in basso e, subito dopo, due-sequenziali-in-alto. Uno sguardo interrogativo, un accenno di gioia… Ma sì, sì…! Basta che te ne vai al diavolo! Giulia fa per fuggire, ci ripensa, alita di nuovo, appanna il vetro e scrive MAHLER: per tutti i diavoli… mi legge nel pensiero? Continua a scrivere: 3-5-1. Poi mi fissa con occhi umidi… e scompare.

Che sia la soluzione? Non può essere: 3, il terzo movimento… è lo Scherzo! Altro che soluzione… Piccola vipera: stasera te le suono davvero! 3-5-1… Un momento: quell’uno potrebbe… la prima frase! il coro… il coro femminile del quinto movimento della terza sinfonia… Proprio adesso ch’ero vicino alla soluzione… la prima frase… Ma cosa avrà voluto dirmi mia figlia? Tre angeli cantarono una dolce canzoneQuand on s’promène au bord de l’eauquando si passeggia sull’orlo dell’acqua… E se il segreto fosse racchiuso proprio lì, nella terza e non nella quinta sinfonia?

Abbandono la cupola di vetro e mi precipito nel vento: il cielo si sta aprendo, un fragile arcobaleno sgorga da una nuvola ancora gonfia e nera tuffandosi nel mare. Mi trovo invischiato in una brezza sottile che m’entra nel sangue e mi stordisce. Mi trascino verso il castello di sabbia.

È una strana costruzione. Una specie di casetta che sgorga dalla sabbia: sembra un carretto a tre ruote, due grandi ed una piccola, centrale. Di fianco — sempre scavata nella sabbia — una specie di volano da cui fuoriesce una pietra lunga ed affilata, a mo’ di manovella. Dalla stretta facciata che guarda il mare — proprio sopra la piccola ruota centrale — legate ad una specie di anello, vi sono tre cordicelle di cuoio che riposano sulla sabbia, lambite dal tranquillo gioco delle onde. Nell’altra facciata è stata scavata una specie di cassettina. Tutta la bizzarra struttura è coperta di intarsi: pietrucce ruvide e levigate, minuscole conchiglie e frammenti di vetro sono stati conficcati nel castello di sabbia. Ne sono scaturiti mosaici incredibilmente belli. Sopra la cassettina di sabbia vuota, è stata creata la figura d’un gabbiano dalle ali spiegate.

Proprio accanto al castello di sabbia, mia figlia e nonna Giulia — ancora in costume da bagno — inginocchiate sull’arena ferrosa, stanno una di fronte all’altra, concentrate su un febbrile lavorìo di mani. Nonna Giulia regge delicatamente fra le mani la sezione d’una lunga sciarpa di carta dorata, mentre mia figlia — con la punta d’una matita — la va bucando. Un piccolo foro… e le dita della donna fanno scorrere di poco la carta: mia figlia ne pratica altri due, poi prende a perforare la sottile lamina in modo solo apparentemente casuale. Le dita si muovono con un’armonia incredibile. Alla fine di una sezione pianta la matita nella sabbia e, ad occhi chiusi, sfiora con le dita esili i fori appena praticati emettendo un soffocato e brioso gorgoglio.

Anche l’orizzonte sta liberandosi dalle nuvole e comincia ad infuocarsi. Una rossa luminosità scivola sul mare, vola verso lo strano castello di sabbia e irradia la piccola Giulia che — vestita solo con un bianco triangolino ed un grosso ciuccio di gomma in bocca — ha i piedi minuti infilati nei grandi zoccoli di legno della nonna: braccine aperte e facendo miracoli di equilibrismo, riesce non solo a restare in piedi, ma addirittura a muoversi. Sta finendo di tracciare, attorno alla bizzarra casetta ed alle altre due Giulie, un cerchio nella sabbia. Per ogni passo che riesce a fare, sprigiona una risata limpida, trattenendo il ciuccio con la punta dei denti: braccine ariose da equilibrista, continua ad avanzare nella sabbia, a scavare il solco, a ridere felice.

Un sole rosso come il fuoco comincia ad immergersi nel nudo orizzonte. Attraverso le spesse lenti degli occhiali, nonna Giulia — vedendo che mi muovo verso di lei — mi lancia un’occhiata timorosa. La bambina urla, quasi perde l’equilibrio mentre rivolge il candido faccino verso di me, protende le mani, grida: “No! no! via! via!” Faccio per avvicinare il piede al solco, ma la piccola Giulia continua a scacciarmi. Mia figlia finisce di bucare l’ultima sezione di carta dorata… e solleva il capo, gettandomi uno sguardo gioioso: ha un volto bellissimo, bruciato dal sole, raggiante. Poi raccoglie la lunga sciarpa d’oro piegandola come il mantice d’una fisarmonica, si mette in piedi e vola verso la piccola Giulia fendendo lo sfolgorio del tramonto.

Nonna Giulia si mette anch’essa in piedi e fa qualche passo verso di me, protendendo le braccia, occhi supplici. Faccio per avvicinarmi a lei, il mio piede sfiora il cerchio tracciato dalla nipotina: è come se il cuore mi scoppiasse, la vista mi si annebbia, non riesco a respirare, indietreggio, cado in ginocchio. Mia figlia, intanto, sta porgendo alla bambina una manciata di minuscole conchiglie e la piccola, una ad una, le infila nella parte posteriore della strana casetta di sabbia, proprio sopra la figura del gabbiano dalle ali spiegate, disegnando un intarsio… una specie di fenditura. Torno a fissare nonna Giulia. Ho cominciato a tremare.

La sua voce è dolcissima, lontana: “Vedi, Renzo, tua figlia immagina che le cose vadano in questo modo: una pallina di luce rotola nel tempo, entrando ed uscendo da un corpo, rallentata o accelerata. E dice anche di essere capace di riconoscere le creature che indicheranno il cammino alla sua pallina di luce…”

“La vecchiaia fa proprio brutti scherzi…” La interrompo ansimando, mentre aleggia un lieve profumo di mare.

L’orizzonte marino ha già inghiottito uno spicchio di sole, mentre il mare continua a respirare dolcemente attraverso le piccole onde che corrono per portare sino alla battigia la luminosa scia del tramonto. Mia figlia, con la bambina per mano, si avvicina a noi… ma sembra non accorgersi della mia presenza. Si sfila la collana verde e la getta al di qua del cerchio, ai miei piedi. Nonna Giulia si toglie gli occhiali e li butta accanto alla collana: i suoi occhi liberi sono rilucenti, bellissimi. La bambina afferra l’inseparabile ciuccio che ha in bocca, lo fissa con occhioni languidi, emette un gridolino… ma alla fine lo getta ai miei piedi. Nonna Giulia, a questo punto, si mette dietro a mia figlia che, a sua volta, afferra le spalle della bambina. E accennano ad andarsene.

Col cuore in gola ed ubriaco di sole, non so capacitarmi di come io non riesca ad attraversare questa barriera di luce viva e sognante: devo avere la disperazione dipinta sul volto… ed allora mia figlia si china a ricevere un mio bacio, ai confini del sole, sotto gli attentissimi occhioni della piccola.

Oh che sorriso! un triplice sorriso mi riempì, che come una fiamma ardevo; mi chinai a baciare la meravigliosa ragazza, e trovai un triplice bacio restituito…

Ma già s’allontanano. Nonna Giulia va ad afferrare una delle tre cordicelle di cuoio. Mia figlia, invece, s’inginocchia davanti al mosaico… il gabbiano dalle ali spiegate: prende le manine della bambina facendo in modo che afferrino l’inizio della sciarpa d’oro piegata a mantice di fisarmonica. La piccola Giulia stenta… ma alla fine riesce ad infilarla nella fessura disegnata dalle conchiglie: poi vola fra le braccia di mia figlia che, a sua volta, s’affretta a raggiungere nonna Giulia: pone la bambina nel mezzo ed entrambe afferrano le altre due cordicelle di cuoio.

Mentre un brioso stormo di gabbiani si abbandona a un disordinato volo verso il rosso tramonto nel mare, dalla strana casetta di sabbia comincia a sgorgare un’armonia dolcissima… un melodioso suono d’organo… e le tre Giulie si avviano verso la battigia purpurea tirando le cordicelle: la strana casetta si muove, la sabbia comincia a cadere, pietrucce e conchiglie franano mescolandosi alla sabbia… ed uno splendido organo di Barberia — un organo di radica di noce — appare, pieno di fregi e pittoresche decorazioni… e dove prima c’era un gabbiano di conchiglie, ora, incastonato, c’è un gabbiano di madreperla.

L’organo di Barberia sembra scivolare sulla sabbia. Il dolce andirivieni delle onde cancella, con la luce del sole, le tracce delle tre ruote mentre l’armonia sgorga dalle canne fulve e vaga per l’aria incantata. La manovella laterale gira da sola, la fessura d’avorio inghiotte la sciarpa dorata racchiusa nella cassettina sotto il gabbiano di madreperla e si tramuta in musica limpida, in gioioso valzer, in incanto… Quand on s’promène au bord de l’eau… quando si passeggia sull’orlo dell’acqua… Le tre creature sono raggianti: la bambina tira la sua cordicella e volge il visetto al cielo, scoprendo denti di madreperla… e ride, ride, ride felice…

Oh Dio… Dio! La poesia che leggeva Stefano…

Le ho viste attraversare l’alba di un’era

le bambine dagli occhi di sole di un’alba mirabile…

le potenti distruttrici delle barriere del mondo…

gli architetti dell’immortalità…

Corpi colmati di bellezza dalla luce dello Spirito,

che portano la parola magica, il fuoco mistico,

che portano la coppa dionisiaca della gioia…

Urlo disperato: provo a scavalcare il solco, ma il cuore torna a scoppiarmi e la vista mi si annebbia. Indietreggio e cado di nuovo in ginocchio: urlo ancora: “Giulia! Giulia… dove vai?”

Ma la melodia, l’organo, le tre Giulie ed i gabbiani, s’incamminano per il rosso sentiero che vola in mezzo al mare. Mia figlia si volge: i capelli fluttuano nella brezza, il volto radioso è immerso nello sfolgorio della luminosa sorgente. Mi pianta addosso due occhioni ingenui ma incorruttibili: “A dare un piccolo calcio alla mia pallina di luce.”

E nello sguardo ridente, una promessa di sole e di cielo.


Adriano Petta – Studioso di storia medievale e di storia della scienza. Tra le sue pubblicazioni: Roghi Fatui, Eresia pura, La cattedrale dei pagliacci, La via del sole, La guerra dei fiori, La libertà di Marusja, Ipazia - scienziata alessandrina (con Antonino Colavito).