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19 maggio 2005

Suicidio in Italia (di Emanuel Carnevali)

Era un uomo bianco. Bianca la faccia e bianche le mani, bianco come uno spettro il suo spirito, la sua anima o come volete chiamarla. Viveva nel continuo timore che capitasse qualcosa per cui o la faccia o una qualsiasi altra parte del suo corpo prendesse un po’ di colore, per questo aveva poche idee, pochissime sensazioni e emozioni meno ancora. Nulla, grazie a un lungo esercizio, poteva farlo arrossire. Era, gentile lettore, un maniaco. Però nessuno, a causa della sua straordinaria mitezza, pensò mai a rinchiuderlo in manicomio. Questa venerazione per le cose bianche era in realtà molto strana e finì con l’avere un notevole e pernicioso effetto sulla sua stessa vita. Si lavava col latte, indossava solo vestiti bianchi, calze bianche, cappelli bianchi di panama. Era un peccato che i suoi capelli non fossero bianchi, ma non ci poteva fare nulla. Prese moglie, ma solo a matrimonio avvenuto poté comunicarle tutto il suo complicato rapporto con il Bianco. Sapeva di non poter pretendere che lei lo seguisse nella bianca tradizione. In realtà lei cercò spesso d’immischiarsi nel suo candore, ma lui non le prestò attenzione. Era un uomo tranquillo, paziente, quasi mansueto, quasi dolce, quasi un cristiano, quasi, quasi, quasi tutte queste cose. Però insieme litigavano molto spesso -cioè litigava lei, perché lui al massimo batteva le ciglia, per il timore che l’idea della sua eterna bianchezza potesse perdere il proprio incanto e mutarsi in giallo o in verde. Una volta litigarono aspramente. La lite giunse al colmo, quando la donna lasciò andare un ceffone sulla bianca, bianchissima faccia del marito. Allora si compì la breve , terribile tragedia: l’uomo non poté più dire bianca la sua bianca faccia. Era diventata rossa. Si è ucciso oggi, a sole ventiquattro ore dalla tragedia.
Emanuel Carnevali
(Pubblicato in 365 Days, New York, 1936)

Emanuel Carnevali, nato a Firenze il 4 dicembre 1897, trascorre la sua giovinezza tra Biella e Cossato, con la madre, spesso malata, lontano dal padre. Quando sua madre muore va a vivere con il padre, persona dura e uomo “d’ordine”, con il quale Emanuel non ebbe mai un gran rapporto, come traspare dal suo unico romanzo, in gran parte autobiografico, Il Primo Dio. Il padre lo fa studiare in collegio, prima a Bologna e poi a Venezia, ma per Emanuel è come stare in carcere. Appena possibile decide di allontanarsi definitivamente dalla famiglia, e il modo migliore è senz’altro emigrare in America. Negli States la vita non è facile. Passa attraverso i lavori più umili, spesso lo troviamo nelle cucine di ristoranti italiani, vive in condizioni di povertà assoluta, trascinandosi per camere ammobiliate, senza soldi e senza mangiare.
Ma le sue condizioni non gli impediscono di continuare a coltivare la sua passione per la letteratura e la poesia. Quando finalmente riesce a farsi conoscere per le sue doti di poeta e scrittore, entra in contatto con alcuni dei più importanti scrittori americani dell’epoca, tra cui Ezra Pound, Williams Carlos Williams, Sherwood Anderson, Robert McAlmond, ammirati per il suo stile “selvatico”. Scrive e compone in lingua inglese portando una ventata di novità nella letteratura americana. Fu senz’altro il primo scrittore itolo-americano di un certo spessore. Nel 1922 è colpito da una grave forma di encefalite che lo costringe a far ritorno in Italia, per curarsi. Accolto dal padre, viene ricoverato in ospedale, vicino Bologna, dove trascorre gli ultimi anni della sua vita. Muore l’11 gennaio 1942.
Adelphi ha pubblicato Il Primo Dio
in cui, oltre al suo unico romanzo, compaiono alcune delle sue poesie, racconti pubblicati su riviste letterarie e scritti critici.